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La settimana bianca – recensione di Peristalsi Narrativa

Quindi, La settimana bianca di Carrère: pur non volendo analizzarlo in modo scrupoloso con competenze che non ho, mi sono informato un attimo: è uno spartiacque nella carriera dell’autore, perché è l’ultima sua opera “tradizionale”, di fiction, prima di passare alla narrazione del reale, al limite del giornalistico nonostante vi siano tratti autobiografici.

Non amando per nulla la nuova direzione presa dall’autore, di cui ho letto buona parte della produzione antecedente a questo libro, ho affrontato la lettura col cuore pesante. Era come ritrovarsi all’ultimo giorno di vacanza con gli amici, quando sai che a breve sarà finita, e l’acacia mielata che hai sulla lingua inizia ad avere un vago retrogusto di fogna. Peccato. Ma veniamo al libro.

Contents

La trama e la narrazione

Un giovane, ai limiti della pubertà, deve andare in settimana bianca con la scuola. Senza i genitori per la prima volta nella sua vita, si ritrova allo sbaraglio in mezzo ai compagni di classe, inevitabilmente incattiviti dal loro essere solo dei ragazzini.
Tutta la narrazione è dal POV di Nicolas, il protagonista, che si ritrova solo contro praticamente tutti i personaggi secondari, ad eccezione soltanto di Patrick, educatore tuttofare che occupa narrativamente il posto del padre del ragazzo quando lo lascia lì fra i monti; e di uno dei compagni, il tipico leader che deve gran parte della sua autorità sui giovanissimi compagni ad una precoce entrata nella pubertà.
Ci ritroviamo sepolti assieme a Nicolas in una fossa che egli stesso continua a scavare, a suon di pensieri sempre più torbidi e cementati dagli avvenimenti della narrazione.

Opinabile opinione

Così, di pancia pancia, mi è piaciuto. L’autore riesce nel suo scrivere un horror morale, emotivamente pesante, ma privo di mostri. O meglio, di mostri ce ne sono, ma sono umani, e soprattutto non li vedremo mai: li sentiremo, in un crescendo di caratterizzazioni psicologiche sempre più strette nella spirale narrativa. Il protagonista, che già per il fatto d’essere un ragazzino ci spinge alla compassione, si ritrova mano nella mano con il lettore mentre insieme si viene seppelliti in una gabbia di colpe, elucubrazioni (queste, magistralmente ben fatte, il realismo mai abbandonato dall’autore impone limiti alla profondità dei pensieri di un ragazzetto pur senza tarparne le ali); e dagli eventi stessi. Nonostante possa apparire chiaro quasi da subito chi sia il mostro, il lento e graduale realizzare del protagonista non lo rende meno mostruoso, aiutati dal fatto che praticamente tutti i personaggi sono negativi nei confronti di Nicolas. La quarta di copertina è terrific, come si suole dire oltreoceano, e cattura l’aspirante lettore con un premeditato inganno, che però poi perdoniamo quando ci si arriva nel testo.

Consiglio certamente la lettura, è uno fra i migliori noir che abbia letto, e costituisce la pietra tombale per la fiction di Carrère, ormai dedito ad altro.

La lettura è veloce, ti tiene lì fino alla fine, ma non è particolarmente scorrevole. Non inteso in senso tristemente attuale, dove cacate su carta – spesso pubblicate da grandi editori, quindi non è colpa di chi le scrive, ma di chi le legge – vengono definite scorrevoli semplicemente perché piatte come il ventre di una modella di Victoria’s Secret, no. L’autore, palesemente, è bravissimo a scrivere, ma il libro mi è parso lento ad ingranare. Avendo trovato un paio di note stonate, solo alle mie orecchie, beninteso, perché come detto è una recensione di pancia e quindi di relativo valore; le elenco di seguito.

  • Prezzo e lunghezza del manoscritto → Eggià. Per quanto il libro sia ben scritto, l’edizione presa da me (Adelphi, 2014) costa 12 euro, e le 139 pagine dichiarate sono in realtà molto, molto meno. Il formato del libro è tascabile, ci sono fine capitolo con mezze pagine vuote ogni 3 facciate, le prime pagine sono dedicate ad altro. Lo possiamo però ascrivere alla categoria di romanzo, e non racconto, per via della sua impostazione narrativa. Mi rendo però conto che bisogni mantenere un certo spessore (letteralmente) del volume, sia per questioni di stampa che per appeal del lettore; ed il prezzo è comunque onesto visto il calibro dell’autore.
  • Deviazioni dalla narrazione → Spesso un elemento della narrazione suscita in Nicolas voli pindarici che si trascinano per pagine e pagine, quasi sempre sono periodi ipotetici e tipici timori da bambino, ma ce ne sono veramente molti. In libri di tutt’altro genere, come It, un simile filosofeggiare è frequente, ma giustificato dal numero di pagine. Penso che La settimana bianca stia sulle 20.000 parole, più o meno, e impiegare così spesso le poche pagine a disposizione per riflessioni che hanno il risultato di giustificare o spiegare i pensieri di Nicolas in merito ai fatti della narrazione mi sembra eccessivo. Da qui la limitata scorrevolezza, che rende il ritmo singhiozzante e diminuisce l’angoscia, soprattutto considerando che gran parte di queste riflessioni e galoppate di fantasia si trovano a inizio manoscritto. Sono essenziali per Nicolas, e lo si intuisce facilmente: evadere dallo scenario solo-contro-tutti in cui si ritrova sempre, però mettono bastoni (per quanto ben fatti) fra le ruote della narrazione. Il risultato finale tuttavia non inficia la forza corrosiva del manoscritto.
  • Sviluppo tematico → L’autore ha cercato di sviluppare il tema della pubertà tramite l’inserimento di pensieri e allusioni al membro maschile da parte di Nicolas, oltre che di un sogno in cui ha una polluzione notturna. Mi sono sembrati buttati lì, se ne fa cenno e poi non vengono più nominati. I temi del bullismo e della leadership vengono invece sviluppati fino a un certo punto e poi si fermano: il primo perché Nicolas si ritrova ormai giocoforza nel terribile mondo degli adulti e nettamente separato dai coetanei verso fine romanzo, ed il secondo perché il carismatico compagno di classe del protagonista viene a sua volta spinto via dalla narrazione stessa, che lo relega ad un personaggio quasi terziario alla fine del libro, senza particolare impatto sul finale.

Il libro è finito, e così la recensione. Lo rileggerei? Magari fra un po’, magari invecchiando. I libri stagionano, proprio come le persone, quindi niente promesse. Alla prossima!

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