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Il guardiano degli innocenti – recensione di Peristalsi Narrativa

Il bello di fare recensioni su libri usciti ormai più di un decennio fa è che puoi criticare quanto vuoi, che tanto nessuno le legge per fare il pelo nell’uovo.
La saga di The Witcher l’ho letta quasi tutta quand’ero ragazzino, e la sto rivivendo in queste settimane quarantenate così da poter scrivere una recensione a fresco, qui nella sezione Peristalsi Narrativa.

Contents

L’autore e il suo lento affermarsi

Sapkowski nasce nel 1948 in Polonia, intraprende una carriera tutt’altro che letteraria che di certo non ti interessa, e si piazza terzo ad un concorso di scrittura con un racconto sul “Wiedzmin”, tradotto come strigo da noi. Non troppo tempo dopo, arriva il successo in Polonia. Curiosamente, il favore enorme di pubblico rimane confinato in patria per un pezzo, prima che venga tradotta in America e gran parte dell’Europa. Il botto lo fa quando la CD Projekt RED crea la saga di videogames “The Witcher”, che mi ha rubato non so quante ore di vita.
I motivi alla base del lento affermarsi del buon Geralt sono essenzialmente linguistici: l’autore conta moltissimo sulla sua lingua, spesso con giochi di parole e nomi intraducibili o con neologismi veri e propri. Ve ne sarete accorti se avete già letto qualcosa di suo: spesso i sostantivi o i nomi propri – soprattutto quelli dei mostri – sono lasciati come nell’originale, e all’inizio risulta tutto un po’ confuso. La serie tv di recente uscita ha cementato un successo ormai mondiale, e il buon Andrzej ha finalmente ottenuto ciò che meritava. Ma bando alla logorrea, cominciamo!

Un confuso ordine di scrittura

Qui come per le altre recensioni dello stesso autore, per via dell’inconsueto ordine di lettura, farò un riassuntino.
Sapkowski ha cominciato la saga in modo atipico, partecipando ad un concorso tramite un racconto su Geralt di Rivia, mutante mercenario al soldo di chiunque abbia qualcosa da offrire, ma che uccide soltanto mostri privi di raziocinio e/o che rappresentano un pericolo per la gente. I racconti si accumulano, e infine pubblica due raccolte. Solo dopo inizia la saga vera e propria. In ordine, con la data di edizione italiana fra parentesi:

  • Il guardiano degli innocenti (2010), La Spada del destino (2011) → Pubblicati 17 anni dopo l’edizione originale, sono le due raccolte di racconti. I libri che seguono hanno lo stesso scarto temporale, ha mantenuto il ritmo circa di un libro all’anno.
  • Il Sangue degli elfi (2012)
  • Il Tempo della guerra (2013)
  • Il Battesimo del fuoco (2014)
  • La Torre della rondine (2015)
  • La signora del lago (2015)
  • La stagione delle tempeste (2016) → Curiosamente, questo l’ha scritto nel 2013, quattordici anni dopo la Signora del Lago del 1999.

Mi è sembrato molto, molto interessante l’ordine di pubblicazione, è estremamente atipico cominciare una saga con dei racconti, nonostante sia spesso consigliato all’aspirante autore fantasy per avere una presa maggiore sul proprio worldbuilding.

La narrazione

Ho emozioni contrastanti, lo ammetto. I libri che leggi da ragazzino lasciano un marchio, sia su quello che scrivi sia sul giudizio che hai quando li rileggi da grande. All’epoca mi piacque moltissimo, adesso mi è semplicemente piaciuto. Un motivo semplice: questa saga è figlia dei suoi tempi, e l’autore era ancora alle prime penne, sia in termini di scrittura in generale sia parlando del suo mondo narrativo.

Nel giudicare questo manoscritto, bisogna tenere conto della sua natura: è una raccolta di racconti, introduttiva ad una saga, e come tale va considerata.

  • Il Lonewolf → Geralt è, che piaccia o meno, uno stereotipo. Oggi. Se scrivi un fantasy adesso con protagonista un edgelord mutante che uccide per denaro, ti mandano al macello. Ma negli anni ’90, così come agli albori della pubblicazione italiana, no. Non dico che abbia avuto successo solo per questioni di tempistica, sarebbe arrogante e scemo, semplicemente ogni caso editoriale è un miscuglio di abilità, fortuna, maturità dei tempi e marketing, e questo non fa eccezione. Rileggendolo oggi me ne rendo conto, ma non sminuisce il libro, bensì lo contestualizza: non è che aprendo la Commedia dantesca ci si schifi nel contemplarne lo stile trecentesco (è un paragone estremo, no linciaggi pls). Un netto punto a favore, però, è che Geralt è e rimarrà il protagonista dei romanzi che seguiranno, quindi il POV fisso non guasta, e racconto dopo racconto si comprende il modo di pensare piuttosto lineare dello strigo.
  • La profondità dei personaggi → Poco presente, e va bene così. Stiamo parlando di racconti autoconclusivi, non di un romanzo, l’unico scopo è affascinare il lettore. Yennefer intriga con la sua comparsa, ma non si scopre nulla di più. Ranuncolo fa da personaggio sullo sfondo, quasi una macchietta cui si appoggia la narrazione. L’unico personaggio ben delineato è Geralt, ma solo da punto di vista psicologico, caratteriale: fisicamente non sappiamo un granché, si dice solo che ha una cicatrice sul collo e ha i capelli bianchi. Nient’altro. Il carisma dello strigo viene mostrato come traballante, quindi ci si domanda cosa lo abbia legato agli altri personaggi, visto che gli unici modi che ha per interagire con la gente è in termini “lavorativi”, e ci si immedesima nella discriminazione che Geralt subisce, ma finisce lì perché l’autore non sviluppa oltre.
  • Il Worldbuilding → Risulta praticamente assente, e di nuovo, è una raccolta di racconti: l’autore non ci deve spiegazioni, non è un romanzo. Ammetto però che l’assenza quasi completa di costruzione del mondo si fa sentire: di ogni luogo visitato da Geralt, sappiamo solo che è medievaleggiante, pregno di giustizia sommaria, e c’è qualcuno che offre denaro per uccidere un mostro. Non sempre il mostro è tale, e se lo è di fatto, ciò non basta a Geralt: risparmia sempre le creature senzienti e solitarie, che non attaccano se non disturbate. Come lui.
    Il tutto però non va oltre alle descrizioni di base, e ogni racconto ha lo stesso scheletro: arrivo/riflessione già in loco, lavoro, descrizione cinematografica e conclusione. In alcuni casi mi è sembrato persino eccessivo, in particolare la descrizione di Geralt che combatte è spesso ridondante, tra schivate, piroette e finire schiantati contro un muro. Riconosco comunque la difficoltà nel parlare di combattimenti 1vs1 sempre con lo stesso personaggio, non credo ci sarebbe stato altro modo.
  • Errori brutti → Ebbene sì. Non me ne vogliano i fan accaniti, anche io adoro a mia volta la saga, ma ci sono degli errori grossolani, e tutti “scientifici”. Non in termini di realismo, ma proprio di conoscenze dei personaggi. Si parla di infezioni virali controllate, ormoni, addirittura “secrezione controllata di adrenalina dalle ghiandole surrenali”. Non ha il minimo senso, ma proprio zero. Siamo in un mondo medievale, privo di metodo scientifico, di certo senza piastre Petri o microscopi: non è possibile che la gente parli di ormoni, di secrezione di adrenalina e via dicendo, mancano secoli e secoli di sviluppo scientifico prima di rendere plausibile l’isolamento e l’identificazione di una proteina o di un ormone steroideo. Zero plausibilità, mi spiace. A me sembra grave per via del mio background, ma in realtà penso che al generico lettore non freghi nulla, anzi aggiunga una parvenza di realismo alla storia, quindi va benissimo così. No big deal.

Insomma, bello o no?

Bello. Ritengo che fare paragoni con i grandi del passato, o contemporanei anche, sia privo di senso. Ogni manoscritto va valutato singolarmente, come opera eretta sull’unico podio nella stanza. Non è una pretesa di oggettività, e risulta inevitabile fare confronti anche involontari con letture passate, ma confrontare, che so, Martin a Sapkowski è privo di senso. Autori diversi, stili immensamente differenti. Personalmente mi è piaciuto, soprattutto considerando che è molto più difficile mantenere in scacco il lettore con la trama frammentata tipica delle raccolte coerenti di racconti. I difetti sono compensati, la datata linearità delle decisioni di Geralt non rovina il manoscritto, anzi lo caratterizza, e di certo invoglia a leggere i romanzi. Che recensirò, appena mi viene in mente qualcosa da scriverci su. Come sempre, senza voti, perché lo trovo orrendo e sminuente.

Ciao!

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