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Il sangue degli elfi – recensione di Peristalsi Narrativa

Proseguiamo con l’analisi di pancia e senza reali competenze in merito (vero spirito italico!) della saga di The Witcher.
L’ordine dei romanzi è un po’ atipico, quindi ecco un breve rinfresco di memoria:

  • Il guardiano degli innocenti (2010), La Spada del destino (2011) → Pubblicati 17 anni dopo l’edizione originale, sono le due raccolte di racconti. I libri che seguono hanno lo stesso scarto temporale, ha mantenuto il ritmo circa di un libro all’anno.
  • Il Sangue degli elfi (2012)
  • Il Tempo della guerra (2013)
  • Il Battesimo del fuoco (2014)
  • La Torre della rondine (2015)
  • La signora del lago (2015)
  • La stagione delle tempeste (2016) → Curiosamente, questo l’ha scritto nel 2013, quattordici anni dopo la Signora del Lago del 1999

Contents

La narrazione ballerina

Sapkowski ci ha abituati, con le prime due raccolte di racconti, a storie blandamente collegate fra loro, ma inserite nel medesimo contesto: come una raccolta di racconti, per l’appunto. La narrazione però è caratterizzata dagli stessi tratti distintivi anche nel romanzo. Spesso si salta fra i vari personaggi, in un tempo non sempre precisato.

Una delle parti che più mi ha confuso è stata alla fine del capitolo dove la carovana viene attaccata. Bam, il capitolo finisce, grande suspence, cosa accadrà? Non si sa. Il capitolo successivo vede Geralt in missione, non si sa bene quanto tempo dopo, da solo(Eh?) e non si saprà più nulla dei nani o di Triss, scoprendo tramite una lettera più avanti che Ciri è al tempio. Qui, però, le storie iniziano tutte a convergere verso la trama, e alla fine del libro si comincia a intravedere dove volesse andare a parare l’autore. Circa.

Mio buon Sapkowski, ma una mappa?

Il problema maggiore è dato però dalla totale mancanza di riferimenti spaziali. Quante volte leggendo un fantasy ti sei perso, pensando “Aspé, ma dove minchia sono i tizi? Mai sentito sto Grande Inverno”; e in quel caso, facile: vai nelle prime – o ultime – pagine, guardi la mappa e capisci. Qui invece non è possibile, l’autore non dà nessun riferimento. Non credo sia dovuto a mancanza di interesse dell’autore (ci sono infatti pagine su pagine di dialoghi fra sovrani prima mai nominati dove discutono di tattica, legata alla geografia del territorio), ma evidentemente non l’ha ritenuta necessaria. Il problema è che lo era, perché ci sono capitoli dedicati quasi soltanto a discussioni in merito ai regni, di cui non sappiamo nulla.

Il ritmo

Il ritmo narrativo, per essere il primo, effettivo prologo all’intera saga, è estremamente lento. Proprio lento da far cadere le braccia, non lento per via di un worldbuilding che ci mette un po’ a carburare.
Pagine su pagine sono dedicate a dialoghi, che per quanto brillanti non aggiungono quasi mai abbastanza al corpo del manoscritto, almeno non abbastanza da giustificarne l’abuso. Ci sono letteralmente interi capitoli composti in gran parte da dialoghi. A cosa servivano le 4-5 pagine in cui Geralt, in uno dei non molti capitoli dedicati a lui, parla di specie di pesci e mostri con uno sconosciuto professore che poi scompare? O quando Triss parla con gli strighi, perché quei monologhi immensi, roba che se accadesse sul serio in una conversazione durerebbe delle mezzore? E ancora, c’era sul serio bisogno di quelle pagine dove i reggenti discutono di tattica in merito a luoghi che non conosciamo o che sono stati soltanto nominati, e che comunque non riusciremmo a inquadrare strategicamente perché non c’è una mappa?
Mi ha stupito particolarmente la parte degli allenamenti di Ciri, dove ci sono dialoghi usati per descrivere scene d’azione (???). Cose tipo «Colpisci! Ah!, Para, Ciri!» ripetute per una pagina.
Non ho capito, sinceramente, l’intento dell’autore. Forse dare vita al proprio mondo, immagino, ma molti fra i capitoli non aggiungono che qualche briciola, lasciandoci con un buco in pancia e le posate in mano. Si tenta di creare una narrazione di ampio respiro, introducendo tematiche di spessore come la discriminazione e l’odio razziale, tematiche che forse verranno sviluppate più avanti, ma che qui hanno una parte così corposa del testo (interi capitoli) da lasciare un po’ basiti quando vengono abbandonate di punto in bianco; se si esclude qualche riferimento sparso più avanti.

Coerenza dei personaggi

Mi pare ci siano modi diversi di interagire fra i personaggi rispetto alle raccolte di racconti. In queste ultime, Yennefer non sopporta Ranuncolo, mentre nel romanzo sono praticamente amici, gli dice persino che gli vuole bene. Sembra anche molto più coccolosa e dolce della Yennefer dei racconti. Ranuncolo sempre uguale, non delude, mentre Geralt mi ha lasciato un po’ interdetto. Non cambia, è il solito edgelord anni ’90 che tutti amiamo, ma qui mi sembra venga fatto passare – se è mai possibile – ancora di più come il ladiesman che si fa tutte le maghe e le tipe, e… finita lì.

Gli stessi errori

Non me ne voglia l’autore, ma il worldbuilding è a dir poco strano. Mappa mancante e infodump a parte, non riesco veramente a capire come Sapkowski abbia immaginato la tecnologia, l’avanzamento del metodo scientifico, il sistema magico e le lingue del proprio mondo. Il che è praticamente gran parte degli elementi che saltano agli occhi in un mondo fantasy.

  • Metodo scientifico → Ci sono di nuovo menzioni a colture virali, ormoni e amenità simili che troviamo anche nei racconti. Ribadisco: non ha il minimo senso. Si tratta di un mondo medievaleggiante, i nobili cagano dentro a dei secchi, non possono avere laboratori con microscopi elettronici e macchinari per PCR. Non servono nemmeno alla storia, perché li si usa soltanto per giustificare le abilità fuori dal comune degli strighi: sarebbe bastato menzionare pozioni e intrugli magici non meglio delineati, ottenendo lo stesso risultato senza addentrarsi in campi di cui non si conosceva la credibilità narrativa. Si potrebbe dire che il tutto venga fatto con la magia? No, perché se tramite la magia conoscessero il concetto di ormone e virus, sarebbero avanti con la tecnologia di secoli.
  • Il sistema magico → Rimane ancora quasi del tutto oscuro il funzionamento del sistema magico in questo mondo. Anzi, sembra che la magia non sia nemmeno presente, se si esclude una trasformazione in civetta di una maga, e poco altro. Questo non è che sia un “errore”, semplicemente la magia era così presente nelle raccolte di racconti che si fatica a comprendere perché sia stata improvvisamente messa da parte nel romanzo.
  • Il linguaggio → Nel romanzo vengono usati termini militari quali Condottiero, Hernandez, Landsknecht, Centurioni, e ci sono addirittura classificazioni di Linneo di specie di mostri, quindi latineggianti. Perché? Che senso ha, se non ci sono i popoli italiano, tedesco, latino, francese? Come è possibile che la gente usi una classificazione latina se non sanno il latino? Si può dire che sia una saga ambientata vagamente in una sorta di Europa trecentesca, ma perché non c’è alcuna traccia dei popoli? Bastava inventarsi un altro nome, anche perché questi gradi militari/parole vengono usati una volta o due e poi mollati lì.

Conclusioni

Purtroppo, questa volta non ci siamo, e non lo rileggerò. Il sangue degli elfi si fa sfogliare perché è un classico e perché la traduzione della casa editrice Nord è eccezionale (non bisogna dimenticare che Sapkowski ha una delle scritture più complesse e frustranti da tradurre, per tutta una serie di motivi). Si legge perché è The Witcher, ma un libro identico di un autore esordiente non sarebbe amato quanto lo è questo libro, anche dopo un ventennio. Vale comunque la pena leggere i seguenti, penso, perché è ormai un classico del fantasy.

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